10 novembre

Il corpo manda segnali che forse la vita che stiamo facendo non va bene per noi.

A volte lo sappiamo già che ciò che stiamo facendo, non può protrarsi a lungo, ma noi continuiamo.

Oggi l'elogio è all'ascolto.

La signora del letto a fianco continua a lamentarsi sottovoce del dolore che prova.
Deve essere fortissimo.
La sta provando molto.
Soffre quasi in silenzio.
La febbre sale. Lei si deprime. Il suo stress aumenta.

Da quanto poco si lamenta non riesco a capire se sta russando mentre dorme o sta soffrendo.

Mi avvicino e le chiedo sottovoce se ha bisogno.
Mi dice:"ho un dolore fortissimo, ma io aspetto che passi".
Le dico:"signora permetta ai medici di farla stare bene e di curarla. Chiami dicendo che ha dolore".

Dopo molte ore si è decisa, le hanno dato degli antidolorifici, ma il suo umore era già a terra, il suo corpo più debilitato ed ancora più infiammato.

Vi racconto questo perché se il corpo ci dice delle cose, dalle più forti alle più piccole, spesso tendiamo ad ignorarle.

Una volta, in ufficio, dei colleghi raccontavano con orgoglio i problemi fisici che avevano avuto a causa del fatto che avevano trascurato la salute per il carico di lavoro.
Esponevano i problemi come medaglie d'onore.

Mi ricordo che mi dissi:"Franci, tu a questo livello non ci devi arrivare mai".

Ed eccomi qui in ospedale.

Ci ascoltiamo davvero quando il nostro corpo inizia a dirci "è troppo"?

Quando il sonno si fa più difficile, quando la digestione si fa più complicata, oppure quando non si ha tempo per giocare con i figli o guardare un film serenamente sul divano con il proprio compagno, e tutto questo diventa abitudine....

L'abitudine diventa normalità e da lì noi non siamo più in grado di uscire se non intervenendo in emergenza.
Succede persino sui nostri clienti: ci abituiamo a servirli senza più ascoltare i bisogni veri, e semplicemente ci abituiamo.
Poi arriva il momento che vogliono cacciarti e tu intervieni con un manager figo, che farà salti mortali (stressandosi) per sanare ciò che è rimasto inascoltato per mesi.

Oggi sono in ospedale perché mi sono ascoltata poco.
Nonostante abbia chiesto di mollare una cosa importante di lavoro, perché non mi sentivo in forma, nonostante tutte le conseguenze dietro a questa mia richiesta che io reputo comunque coraggiosa, non ho avuto il coraggio di fermarmi veramente e vedere cosa stava succedendo.

Ho rallentato, ma alla fine correvo per 20 piccole cose anziché una, ma correvo.
Mi ero raccontata una bugia.
Non mi ascoltavo.

La paura di fermarsi è forte.
Fermarsi o rallentare sembra da perdenti, da chi non ha "gli attributi", mi sono sentita dire.
Fermarsi è da chi "non ci si può fidare più poi".

Forse è necessario che ogni tanto ci prendiamo delle ore sabbatiche, dove ci ascoltiamo veramente, aldilà delle abitudini e delle spesso false sicurezze che queste creano.

Stiamo facendo ciò che ci fa felici?
Stiamo cercando di vivere meglio e appieno il nostro tempo?
Le abitudini stanno avvelenando il nostro vivere?

Se io mi fossi fermata veramente per guardarmi dentro e fuori, avrei visto che il lavoro non mi rendeva felice così, mi dava solo appagamento adrenalinico, condito da soddisfazioni che però si mangiavano emozioni, energia, vita, tempo.

C'è un momento che possiamo regalarci oggi per fermarci ed ascoltarci veramente?

Tempo lento.
Tempo fermo.
Diamoci la possibilità di vivere più pienamente e non più freneticamente.

Questo e un classico "Pippone" ma ogni tanto servono.

Commenti

Post popolari in questo blog

27 novembre (f.o. - fuori ospedale)