20 novembre

In questo periodo di ospedale ho visto tante cose, alcune delicate ed altre fortissime.

Ho visto la morte, la guarigione, la vecchiaia che svuota le vite e le rende paura-pelle-ossa.

Ho visto la forza delle carezze di giovani infermieri, scacciare i pianti di ultra novantenni impauriti.

Ho visto lacrime che poi si trasformavano in "un altro passo da fare".

Ho conosciuto persone splendide e calde e persone capaci di farti sentire il gelo dentro.

Ho aspettato sempre ogni cosa e proprio mentre aspettavo guarivo, così ho capito che l'attesa non è immobilità, ma è rispettare il tempo del nostro corpo, delle cose che maturano senza fretta, dei passi lenti, incerti, prudenti, che però non tradiscono e ti portano ovunque.

Ho ripercorso le lente e faticose strade che mi hanno portata a Santiago, dove il tempo, la tenacia, la forza, il chiedere aiuto, il rispettare il proprio corpo, e la forza di un passo e poi l'altro, mi hanno condotta a destinazione.

Ho desiderato messaggi, visite, abbracci, perché sono stati la mia forza ed ho ringraziato per il tempo regalato da chi, in qualsiasi modo, ha fatto questo pezzo di strada faticosa con me.

Che altro abbiamo di più prezioso da regalare se non il nostro tempo?

Spesso siamo piegati dal tempo.
Qui ho ricevuto visite di persone che hanno piegato il loro tempo per costringerlo a trovare un buco per me.

Il 1 novembre sono entrata in ospedale ed ho capito che era un ponte sospeso su di un burrone altissimo e molto pericoloso.
Ho iniziato a fare un passo e poi un altro.
Non ho mai guardato giù.
Non ho mai guardato a quanto mi mancava per arrivare al sicuro.
Ho misurato le forze non per percorrere il ponte, ma per fare anche un solo passo, poi da lì sono ripartita per il passo successivo.

Ogni tavoletta di legno che ho percorso, di quel ponte sospeso, è stato un traguardo ed una vittoria.
A volte ci perdiamo i piccoli traguardi, vero?
Pensiamo sempre alla fatica di tutto il ponte, ma non celebriamo lo sforzo immane del singolo passo.

Ed ora sono quasi arrivata dall'altra parte.
Ormai il ponte non può cedere e farmi cadere.
E proprio stasera, mentre facevo l'errore di guardarmi indietro, ho capito che cadere sarebbe stato facilissimo, e che ogni passo è stato un successo grandissimo.
Quel ponte e quei passi mi hanno fatto paura.
Ma sono ormai percorsi. È solo passato vissuto con coraggio e a volte con paura.

Non so cosa mi aspetta dopo il ponte, probabilmente un periodo di altri ponti, ma anche quel pezzo di vita sarà fatto di passi, e con questo stesso spirito voglio provare ad affrontarli.

Domani inizia una nuova vita.
Non a tutti capita di avere una nuova possibilità.

Da queste mura, dove la base della piramide di Maslow è quasi l'unica aspettativa, mi porto via di guardare gli occhi sporchi di Wanda negli occhi degli altri, per vedere se hanno bisogno di essere puliti.
Mi porto via il ricordo di accarezzare stanchezze perché chiunque può vivere momenti in cui i passi sono più faticosi.

Mi porto via i saluti degli infermieri, che rimangono qui a prendersi cura di chi deve passare un ponte difficile.

Mi porto via il tempo piegato di riunioni spostate, di WhatsApp con la pasta al sugo rosso, di telefonate, di visite anche fugaci, di sacchetti di cose sporche che tornavano pulite, di litri di camomilla con tanto miele che sono arrivati con visite di 10miniti per molte mattine.

Mi porto via le tensioni che si sono sciolte solo perché non ero da sola.

Mi porto via i pianti inconsolabili di Wanda, i sorrisi di Adriana, le fughe al bar e ristorante di Narda, il caffè degli infermieri al mattino alle 4.

Mi porto via l'abbraccio di un giovane medico ad una signora un po' depressa.

Mi porto via venti giorni di umanità profonda.

La cosa più importante è che "mi porto via di qui".

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