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Visualizzazione dei post da novembre, 2017

27 novembre (f.o. - fuori ospedale)

L'amore lo metti dove puoi, e lui fiorisce dove vuole. Questa è la frase che mi ha scritto Laura a proposito del possibile raduno del gruppo whatsapp di mio sostegno in questo periodo, il mitico "50 sfumature di giallo". Siamo rimasti tutti un po' stupiti del fatto che si potesse generare tanto affetto e vicinanza,  nonostante molti non si conoscano. Devo dire che senza questo gruppo e senza le persone che mi sono accanto, questa esperienza di malattia sarebbe decisamente più dura. Non posso nemmeno immaginarla. E invece in questo mese, mi sono sentita sola solo 2 volte: una mentre facevo la tac con gli infermieri e medici "asettici", ed una mentre i medici mi stavano dicendo che forse sta cosa mi lascerà un'eredità per tutta la vita. In quel momento ho pianto e quello non me lo poteva consolare nessuno. Era un pianto di rabbia e poi di accettazione. Per il resto, tante persone vicine, mi hanno emozionata, coccolata, fatta sorridere, incoraggiata.

20 novembre

In questo periodo di ospedale ho visto tante cose, alcune delicate ed altre fortissime. Ho visto la morte, la guarigione, la vecchiaia che svuota le vite e le rende paura-pelle-ossa. Ho visto la forza delle carezze di giovani infermieri, scacciare i pianti di ultra novantenni impauriti. Ho visto lacrime che poi si trasformavano in "un altro passo da fare". Ho conosciuto persone splendide e calde e persone capaci di farti sentire il gelo dentro. Ho aspettato sempre ogni cosa e proprio mentre aspettavo guarivo, così ho capito che l'attesa non è immobilità, ma è rispettare il tempo del nostro corpo, delle cose che maturano senza fretta, dei passi lenti, incerti, prudenti, che però non tradiscono e ti portano ovunque. Ho ripercorso le lente e faticose strade che mi hanno portata a Santiago, dove il tempo, la tenacia, la forza, il chiedere aiuto, il rispettare il proprio corpo, e la forza di un passo e poi l'altro, mi hanno condotta a destinazione. Ho desiderato mes

18 novembre

17 giorni di ospedale. Oggi è venuta in stanza con me una vecchietta di 96 anni. È un pò conciata ma ci sta abbastanza con la testa. Quando è arrivata sembrava spaventata. Era in casa di riposo e poi si è ritrovata qui in ospedale. Appena messa a letto, infermieri e inservienti le hanno preso i parametri (pressione, febbre, etc) e poi hanno iniziato a pulirla. È prassi. Procedure che seguono. Ma lo fanno con dolcezza, parlandole con dolcezza, spiegandole tutto ciò che le stanno per fare. Controllano eventuali piaghe, le curano con spray, creme, etc. Finita la pulizia uno dei due le guarda il viso e le dice: "signora ha la bocca secca e un caccola in un occhio. Posso pulirgliela?". La signora annuisce. L'inserviente prende delle garze, le bagna un po' e si prende cura di quel viso scarno. Pulisce e bagna la bocca, e poi si prende cura degli occhi, con calma, pazienza ed attenzione. Le procedure e la prassi erano già finite quando l'avevano lavata. Pul

16 novembre bis

Per chi non conoscesse la piramide di Maslow, consiglio di dare un occhio su internet. Se riesco la aggiungo anche qui nel post. Fuori dalla mia GALERA SPA io vivevo costantemente la punta della piramide. L'altro giorno, quando mi hanno rimandato la biopsia al giorno successivo, giuro, non prendetemi in giro, la prima cosa che ho pensato è stata:"Wow. Posso mangiare il pranzo e la cena". Caduta in picchiata verso la base più bassa della piramide. Tutto il resto è diventato effimero. Ragazzi, non scherzo, effimero. So bene che ciò che sta ai piani sopra non è effimero; solo che in 16gg di ospedale ho fatto una lunga scivolata verso l'essenzialità, e questo è quello che sto vivendo. Digerire bene il cibo dell'ospedale e vedere come questo diventa energia e forza per la mia guarigione, mi ha catapultato all'essenza. Poi ci ho pensato bene durante le mie passeggiate lungo le boulevard della mia GALERA SPA (il corridoio fuori dal reparto): la piramide di M

16 novembre

Mi curo. Vivo un tempo che sembra vuoto. Aspetto che il mio corpo si rigeneri e si guarisca. Fino ad ora, la metafora di questi quasi 16gg di ospedale, è proprio questa. Vivere un tempo che sembra essere vuoto, dove mi prendo cura di me (insieme a tutti coloro che sono concentrati su di me), e attendo che il mio corpo guarisca. Fino ad oggi non ho ingerito una sola medicina, steroide o boh. Vivo di cibo basilare, acqua e zucchero. Sono stata costretta a fermare la frenesia della mia vita super organizzata, ho fatto una lunga frenata, ed ora attendo pazientemente che a passi compatibili con il mio corpo, io torni al centro della mia vita, ed il mio corpo in salute. Quante volte ci concediamo anche il tempo della guarigione? Magari meglio 4 pastiglie che fanno passare i sintomi, e siamo già in pista mentre stiamo ancora ingerendo di fretta la 4a pastiglia. Il tempo della convalescenza poi.... A volte non diamo nemmeno il tempo di guarire ai figli, perché tenerli lontani da scu

14 novembre

In camera mia c'è una "sciura" di 80 anni, vedova e con un solo figlio di 53 anni che vive con lei (dopo che è morto suo marito). Questa sciura vive per il figlio, forse anche troppo, perché sto cucciolo di 53 anni non sa manco prepararsi una bistecca da solo. Sono legatissimi. Lei ha la memoria a breve termine che ha un timeout di scadenza piccolissimo tanto che ormai sento io le medicine che deve prendere, le ricordo di bere, parlo con i medici e poi con il figlio. Mi parla tutto il giorno de "ilmioRoberto" che è il nome proprio del figlio. Non ho mai sentito dire solo Roberto. Sì chiama "ilmioRoberto". Sta sciura è tenera, ma nonostante la sua tenerezza che si taglia con un grissino, riesce a farmi impazzire ogni due secondi con racconti, piccoli lamenti, chiacchiere. "cosa mangerà oggi ilmioRoberto?. Io gli preparo lo spezzatino con le patate, e la carne mica la prendo al supermercato, vado dal macellaio....." Quando le fanno l&#

13 novembre

12 giorni di ospedale. Tra domani e dopodomani si inizierà a parlare di come si svolgerà il mio futuro. È come ricominciare. Devo decidere come ricominciare. Sfiori la fine e quando guardi il futuro ti rendi conto che le priorità sono diverse, ciò che prima era essenziale, ora sembra forse un desiderio sbiadito. È lo sguardo del momento, filtrato da problemi di salute, da stanchezza fisica e mentale. Ma davvero molte cose sbiadiscono. Quindi ora ricomincia la vita 2.0. Probabilmente questa vita prevederà che io mi metta un po' al centro, e questo non solo per la salute ma anche per qualità della vita in generale. Questo stop improvviso non può non essere un segno per la mia vita. Il precedente stop con il precedente intervento chirurgico, mi ha privato di una parte importantissima, ma l'ha fatta rinascere attraverso l'accoglienza dell'affido. Questo? Che germoglio sarà per la mia vita? Oggi è stata una giornata emotivamente faticosa. Anche le mie compagne

11 novembre

Non tutti i giorni sono up. Oggi è una giornata dove mi sento un po' prigioniera di queste mura, di attese. Tuttavia una di foto la lascio: Sono 10gg che sono in ospedale e non c'è stato giorno in cui non ho ricevuto visite. Ognuno che è venuto a farmi visita ha rubato un pezzetto del proprio tempo in cui poteva fare altro, per dedicarlo a me.  Pezzetti di vita regalati, così, gratuitamente. Grazie grazie.

10 novembre

Il corpo manda segnali che forse la vita che stiamo facendo non va bene per noi. A volte lo sappiamo già che ciò che stiamo facendo, non può protrarsi a lungo, ma noi continuiamo. Oggi l'elogio è all'ascolto. La signora del letto a fianco continua a lamentarsi sottovoce del dolore che prova. Deve essere fortissimo. La sta provando molto. Soffre quasi in silenzio. La febbre sale. Lei si deprime. Il suo stress aumenta. Da quanto poco si lamenta non riesco a capire se sta russando mentre dorme o sta soffrendo. Mi avvicino e le chiedo sottovoce se ha bisogno. Mi dice:"ho un dolore fortissimo, ma io aspetto che passi". Le dico:"signora permetta ai medici di farla stare bene e di curarla. Chiami dicendo che ha dolore". Dopo molte ore si è decisa, le hanno dato degli antidolorifici, ma il suo umore era già a terra, il suo corpo più debilitato ed ancora più infiammato. Vi racconto questo perché se il corpo ci dice delle cose, dalle più forti alle più pi

9 novembre

Oggi un'infermiera doveva accompagnare ad un esame una signora appena arrivata in camera. La signora era dolorante ed impaurita. Aveva un pigiama un po' leggero, ma il dolore che provava era sicuramente più forte del freddo. L'infermiera l'aiuta a tirarsi su dal letto. Le dice:"amore, resisti. Ti portiamo noi. Tu non puoi farcela a camminare". Già chiamare un paziente "amore" mi piace: è un pò come quando rispondi al telefono e ti dicono di sorridere. Quella parola ti fa già capire come ti vorrà trattare: con amore. Comunque, quando si preparavano per uscire, l'infermiera nota il pigiama leggero e dice alla signora:"non hai una vestaglia? Avrai freddo così". La signora ha indicato l'armadietto e dopo qualche secondo era al caldo. Ripeto una frase: l'infermiera nota il pigiama leggero e aiuta la signora a scaldarsi. Questo prendersi cura della persona mi ha folgorata. Non era solo una professionista che sapeva fare il p

8 novembre sera

In ospedale scorre il tempo e tu non pianifichi nulla se non gli orari delle terapie e dei pasti. In realtà questo scandire il tempo genera sicurezza. Ma tutto il resto è attesa di qualcosa: di migliorare, di un esame, del medico, delle visite. Fuori dall'ospedale l'attesa sembra quasi una bestemmia alla vita. Fuori di qui non si aspetta più nulla, persino le informazioni le cerchi immediatamente in internet, senza aspettare, senza quasi più desiderare, senza sforzo. Il tempo scorre comunque, sia che lo rincorriamo, sia che aspettiamo. Servono un po' entrambe le cose credo. Ma per la mia mente è stato uno shock ritrovarmi da una vita dove conti i minuti per arrivare un tempo a tutto, ad una vita qui dove il tempo lo devi riempire con qualcosa. È davvero uno shock mentale. Ma possibile che non ci possa essere un equilibrio? È possibile accettare che lo stress condizioni la nostra vita fino a quasi rubarcela? Possibile che la mia vita o sia fatta di frenesia assurd

8 novembre

La signora anziana vicina di letto, è mancata stamattina. Non voglio concentrarmi su questo. Vi racconto due immagini della sua vita. La signora è stata sempre in compagnia dei figli o nipoti. Non è mai stata sola. Le nipoti attaccatissime a questa donna. La prima immagine. La nipote era seduta accanto alla nonna, da ore. Le teneva la mano, da ore. Ad un certo punto la nipote appoggia la testa sulle gambe della nonna e lì si addormenta, probabilmente esausta. Quel gesto si sarà ripetuto chissà quante volte quando la nipote era più piccola e cercava affetto e calore sul grembo della nonna. Mi sembrava di vederla piccina, addormentarsi avvolta da quel calore speciale dei nonni. La nonna è stata raramente cosciente in questi​ giorni. Brevi parole o richieste. Ad un certo punto la nonna ha messo una mano sulla testa della nipote che le dormiva sul grembo. Era la loro nonna, anche in quel momento estremo dove non aveva forze ed era spesso incosciente. La nipote si è svegliata, m

7 novembre pomeriggio

Quando vai a fare la tac ti fanno firmare 2000 moduli dove ti prendi la responsabilità della tua eventuale morte. Punto di vista interessante. Le infermiere che mi hanno accolta erano fredde, sgradevoli, arroganti, inumane. In quella ora circa passata in quel reparto ho capito quanto le persone possano fare la differenza in un'esperienza. Lo sapevo già ovviamente. Ma oggi più che mai, l'ho sentito. Quelle due donne hanno avuto la capacità di farmi sentire "sola". Non mi hanno mai chiamata per nome, ma ero la 611/2, il mio letto. "venga 611" mi ha detto per farmi entrare nella sala tac. Individui. Atomi. Numeri di cartella. Numeri aggregati. Abbiamo la capacità di far diventare l'universo che è una persona, in una questione pratica, veloce, da smaltire, sola. Ma al mondo ci sono tutti, belli e brutti, e se quando risalgo dalla tac trovo i miei amici, tutti sorridenti, il gelo che avevo sentito, svanisce in un secondo. Le persone possono cambia

2 novembre 2017

Al pronto soccorso ci sono stata in pratica 3 notti. Brutta esperienza ma sono sicura che c'è di peggio. Al ps tu incontri gente di ogni tipo e con ogni cosa. C'era un vecchietto tutto ossuto, sdraiato su una barella da alcune ore, guardava il vuoto senza muoversi. Aveva il bastone appeso alla barella, ed il berretto a coppola sopra il lenzuolo che lo copriva. Aveva occhietti piccoli, scuri, lucidi. Sembrava guardasse il vuoto, mentre probabilmente riguardava ricordi. Pensavo fosse come altri vecchietti che erano lì, ovvero che non ragionavano tanto. Era fisso sulla barella a guardare il soffitto, da ore. Ad un certo punto dice: devo fare la pipí. Ahhhh allora parlava. Mi sono guardata attorno ma zero infermieri. Mi sono avvicinata e, con un rispetto profondo che non ho capito da dove mi venisse, gli ho detto:"buonasera. Sono Francesca una paziente come lei. Adesso le vado a cercare un infermiere". Ho preso me e la mia flebo e sono andata a tentare di ferm

7 novembre 2017

Questa notte mi sono svegliata che era quasi l'una perché mi sembrava di non riuscire a respirare. Ho chiamato subito gli infermieri, che mi hanno fatto dei controlli. Andava tutto bene. Forse un sogno o un momento di paura nel sonno. Nonostante i controlli fossero ok, mentre mi stavano togliendo i vari fili a cui mi avevano attaccata, mi sentivo ancora spaventata. La notte non aiuta la lucidità. Vedevo gli occhi degli infermieri che controllavano tutto con attenzione. L'ultimo dei tre poi ad andarsene, mi ha sussurrato "adesso dormi tranquilla", poi mi ha rimesso a posto le lenzuola sistemandomele bene in maniera che fossi ben accucciata, e poi mi ha messo una mano sulla testa un secondo. Poi mi ha messo vicino il telecomando per chiamarli e mi ha detto "chiama per qualunque cosa tu abbia bisogno". Poi è andato via. Mi sono calmata. Non per il telecomando messo vicino ma nel sentirmi quelle lenzuola calde addosso, sistemate con cura, con un affetto

7 novembre 2017 - inizio il blog

Sono 7 giorni quasi che sono in ospedale. Tra queste mura sei portato a pensare che la vita sia fuori di qui, che questo è un tempo che serve solo per guarire, che da qui vuoi uscire prima possibile. È tutto vero, o almeno lo è parzialmente. In ospedale sei costretto a vivere una vita lenta, fatta di attese, di esami, dei visitatori, delle infermiere, dei dottori, di guarire (per chi può). Fuori dall'ospedale si rincorre il tempo e non si ha mai modo di fermarsi un attimo. Qui dentro vivi solo di attesa, quasi come se il tempo andasse sprecato. Qui dentro tutto si rallenta, qui dentro il tempo è scandito dai prelievi, dalle misurazioni dei parametri, dall'orario di visite dei parenti ed amici, dall'orario dei pasti. In ospedale si è in attesa. Mi sono chiesta cosa volesse dire questa mia malattia in questo momento della mia vita. Dal cammino di Santiago in poi, ovvero negli ultimi due anni, ho costruito un percorso di rivalutazione delle mie priorità, dell'uso